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IL GLADIATORE

Pubblicato Lunedì, 24 Dicembre 2012 08:28 Visite: 8398

Categoria: Storia e dintorni: la storia vista con gli occhi di chi l'ha fatta, vissuta, raffigurata.

IL GLADIATORE

“Massimo! Massimo! Massimo! Massimo!”

Echeggia nell’arena del Colosseo. Il pubblico è in delirio. L’imperatore Commodo geloso. L’augusta Lucilla, fremente di desiderio. Il nipote dell’imperatore, l’ancora bambino, il cesare Lucio, sopraffatto dall’ammirazione.

Chi acclama tutta Roma alla presenza dell’imperatore?

Massimo Decimo Meridio: IL GLADIATORE.

 Lui stesso si stupisce di tanto interesse quando viene avvicinato dal piccolo Lucio venuto ad ammirarlo da vicino: “alla tua età (aveva otto anni), ti lasciano assistere ai giochi?” gli dice. In questa scena Massimo si trova nel Ludus Magnus, la caserma collegata al Colosseo con una galleria sotterranea. E’ la prima volta che deve “esibirsi” a Roma, ma la sua fama lo ha di molto preceduto.

L’idea è quella di ripercorre questo film non privo di falsi storici ma molto preciso nel ricostruire la vita di un gladiatore per capire un po’ quale era il motivo di tanto interesse per questi spettacoli tanto lontani dalla nostra morale.

Sarebbe interessante anche comprendere Giovenale quando,  riferendosi al popolo romano, pronunciò la famosa frase rimasta eterna duas tantum res anxius optat, panem et circenses (sol di due cose pago: pane e circensi), 40 anni dopo Frontone rimproverò la stessa cosa ai suoi concittadini populum romanum duabus praecipua rebus, annona et spectaculis, teneri (cambiano, neanche tanto, le parole, il concetto è identico). Plinio il Vecchio si stupì del fatto che la gente fosse disposta a mettere in pericolo la propria stessa vita pur di assistere a quegli spettacoli: rimanevano seduti su degli spalti girevoli che di giorno creavano due semicerchi che si davano le spalle durante le rispettive rappresentazioni teatrali, di pomeriggio giravano su un perno (erano in legno) e divenivano un’arena in cui si affrontavano i gladiatori.

Stupirebbe sapere quanto tempo i romani trascorrevano in ozio: non senza far nulla, come intenderemmo noi ma l’ozio inteso come dedicarsi ad attività che non richiedono lo sforzo fisico. I disoccupati, mantenuti dall’assistenza pubblica con le largitiones al portico di Minucio erano 150.000, 150.000 (forse) erano coloro che avevano un’occupazione: la mattina quei pochi lavoravano, poi facevano la siesta, poi tutti agli spettacoli.

Insomma: il popolo che ha fatto tremare tutto il mondo allora conosciuto, quello per cui si sono smossi gli elefanti da Cartagine, quello per cui sono stati versati fiumi di inchiostro, è lo stesso che ha inventato la siesta (l’ora sesta è esattamente mezzogiorno, l’ora in cui i romani facevano il “riposino” pomeridiano). E se qualcuno fosse interessato a contare i giorni di festa del calendario romano, si stupirebbe nello scoprire che erano ben 182, calcolo effettuato per difetto (mancano tutte le feste straordinarie e quelle dei sobborghi).

 


In questa situazione è evidente che un popolo che comunque aveva i problemi ben noti in ogni epoca di pagare vitto, alloggio, tasse e istruzione per i figli avrebbe avuto molti motivi per ribellarsi alla classe politica e dunque era necessario tenerlo impegnato. E l’impegno preferito era proprio quello di accorrere nel circo o nell’anfiteatro (a seconda dell’evento organizzato). Al cibo per un mese pensavano le largitiones gratuite di 5 moggi di grano al portico di Minucio: Giovenale non aveva torto a rimproverare i concittadini di pensare solo al circo e al pane, gratis entrambi.

Analizzando il film in alcuni punti in particolare, si scoprirà che Ridley Scott ha studiato la storia, gli usi, le abitudini di ciascuno dei protagonisti chiamati in causa: popolo, imperatore, esercito, gladiatori, lanisti; ha ricucito le informazioni per farne  un dipinto incredibile, molto, ma molto aderente alla realtà più nei particolari che nell’insieme (bisogna dire).

Una figura interessante del film è proprio quella di Proximo, il proprietario della scuola di gladiatori o, per meglio dire, il proprietario di questi ultimi, visto che il lanista (così si chiamava questa losca figura storica) acquistava la persona e il diritto a fare di lui e del suo corpo qualsiasi cosa volesse: la radice della parola lanista viene da macellaio. Lo si vede per la prima volta in un mercato: sta contrattando non proprio amichevolmente con un commerciante di schiavi e animali e controlla la forma fisica dei gladiatori che era venuto per acquistare. Massimo lo colpisce subito perché, sebbene non proprio in forma, ha il tatuaggio dei legionari: SPQR. Dopo aver contrattato il prezzo Proximo porta i gladiatori appena acquistati nel ludus e lì fa loro un discorso di “benvenuto”  breve, essenziale, reale e spietato: “Io sono Proximo. Io sarò più vicino a voi per i prossimi pochi giorni, che saranno gli ultimi della vostra miserabile vita, di quella cagna di una madre che vi ha portato gridando in questo mondo. Io non ho pagato buon denaro per voi, per la vostra compagnia, ho pagato per trarre profitto dalla vostra morte, e, mentre vostra madre era li quando siete nati, così io sarò qui alla vostra morte. E quando morirete, perché voi morirete, il vostro trapasso sarà al suono (egli batte le mani in un applauso) Gladiatori……io vi saluto!”

 

Figura 1 Proximo parla ai suoi gladiatori

Comincia a quel punto l’allenamento con armi lusorie, in legno, perché il lanista possa capire quale ruolo assegnare a ciascuno dei gladiatori in base alle attitudini fisiche. I più agili generalmente divenivano traci, abbigliati con armature più leggere. I più forti erano i mirmilloni, con un armatura talmente completa, e dunque pesante, da lasciare scoperte poco più  che le gambe.

 

Figura 2 Scena del film in cui sono visibili i diversi modi di abbigliarsi dei gladiatori, secondo la corporatura e le attitudini fisiche.

Il tifo del pubblico si rivolgeva alle varie squadre e fuori dell’anfiteatro si potevano trovare botteghe con souvenir raffiguranti i gladiatori abbigliati nelle varie maniere (una curiosità, un recente cartone animato, Gladiatori di Roma, mostra delle bancarelle proprio all’entrata del Colosseo, un modo simpatico di mostrare una verità storica!).

 Nonostante la prospettiva di vita non fosse proprio rosea, perché andrà a finire proprio come dice Proximo, stupirà scoprire che non tutti coloro che entravano nell’arena vi erano costretti.

Il business che girava intorno combattimenti era talmente cospicuo da indurre gli imperatori a decidere a un certo punto di gestire alcuni dei ludi attraverso i loro prefetti. Purtroppo si dovette stabilire un censo minimo per ì politici che intendevano offrire i giochi, altrimenti qualcuno cercava di risparmiare a spese dell’incolumità degli spettatori. A Fidene ci rimisero la pelle in 40.000 perché il questore che aveva organizzato lo spettacolo risparmiò sulla sicurezza (il già citato cartone animato finisce proprio col crollo del Colosseo a causa della speculazione edilizia messa in opera dal costruttore, ma questa è un’altra storia).

Per motivi economici, ma anche per fama, vi era chi decideva di diventare gladiatori e di stipulare dunque un contratto, l’auctoramentum, con cui il lanista acquistava ogni diritto sull‘auctoritates. Come ogni contratto che si rispetti, si stabiliva la durata e il compenso per la prestazione d’opera. L’auctoritates da quel momento dava al lanista il diritto di fare di lui, come gladiatore, ciò che voleva, anche farlo combattere contro avversari non proprio proporzionati alle sue capacità. L’ingaggio per il primo combattimento era di 2.000 sesterzi e poteva arrivare a 12.000 nel secondo combattimento (se sopravviveva). Cifre insignificanti se riportate tout court, ma più comprensibili se si pensa che 1 moggio di grano costava 3 o 4 sesterzi e se questa informazione la si lega a quella delle largitiones di 5 moggi al mese. All’epoca di Cicerone un manovale guadagnava 5 sesterzi al giorno ma non lavorava ogni giorno (anche solo togliendo i giorni di festa calcolati prima, non viene fuori un grande stipendio mensile).

Ma chi dovesse pensare che era la fame a spingere ad un tale incerto destino dovrà ricredersi: la fama dei gladiatori era tale da indurre anche personaggi in vista a rischiare la vita. Commodo stesso si dice che in realtà fosse figlio di un gladiatore e non di Marco Aurelio (leggenda priva di fondamento).

Naturalmente gli auctoritates rimanevano uomini liberi nella condizione sociale, per cui non vivevano nella stessa condizione di controllo che subivano gli altri inquilini del ludus: il clima era proprio quello di una palestra-caserma-prigione e i gladiatori erano controllati a vista per evitare un triste quanto usuale fenomeno come il suicidio. Narrano le cronache che un gladiatore pur di sottrarsi al suo destino infilò la testa nella ruota di un carro: dà i brividi solo il pensare di fare una fine del genere, figuriamoci che destino temeva lo attendesse il protagonista di questo tragico episodio. Nel primo combattimento che nel film si svolge nel Colosseo un gladiatore (per la verità non dotato di un fisico da combattente) si urina addosso per la paura.

E ancora Proximo racconta a Massimo in un altro momento importante del film

Il giovane imperatore ha organizzato una serie di spettacoli per commemorare suo padre Marco Aurelio. Io lo trovo divertente visto che è stato Marco Aurelio, il saggio, il sapiente Marco Aurelio ad interrompere i giochi. E così, dopo 5 anni passati a guadagnarci da vivere in luridi villaggi infestati dalle pulci, finalmente torniamo al posto che ci appartiene….il Colosseo. (respira profondamente come se potesse sentirne l’odore) Oh! Dovresti vederlo il Colosseo , Ispanico. 50.000 romani che osservano ogni movimento della tua spada aspettando che vibri il colpo fatale. Il silenzio prima del fendente, e il fragore dopo cresce,….cresce e si solleva come…come una tempesta, come se tu fossi Giove Tonante.

Il Colosseo poteva contenere anche più di 58.000 spettatori: la facciata era alta oltre 50 metri e l’ellissi misurava sull’asse maggiore 188 metri, sul minore 156. Basti pensare che ci vollero 100.000 metri cubi di travertino per rivestire la facciata e il materiale veniva portato da Tivoli perché il lapis Tiburtinum era considerato particolarmente adatto per le sue proprietà meccaniche, duttile alla lavorazione, tanto resistente da poter sopportare 330 kg per centimetro quadrato.

Problema non da poco conto era il fatto che l’interno dell’anfiteatro aveva molte parti lignee, come già ricordato. Questo favoriva gli incendi, uno dei problemi che maggiormente piagò Roma in ogni epoca. Per questo fu organizzato un corpo speciale antesignano dei nostri moderni Vigili del Fuoco e fu Augusto a dargli sistematicità: il più grande e lungimirante degli imperatori stabilì inoltre che la quinta delle sette coorti dei vigilantes dovesse occuparsi solo del Colosseo. Comunque gli incendi non si riusciva ad evitarli (pare che, fra grandi e piccoli, ce ne fossero circa 100 al giorno nell’Urbe) e più volte gli edifici furono devastati: Alessandro Severo, al potere dal 222, decretò che le tasse versate da lenoni, prostitute e omosessuali fossero utilizzate per ricostruire edifici di spettacoli rovinati.

Quanto fossero importanti i giochi potrebbe confermarlo il povero Terenzio. Il famoso autore di tante commedie durante la rappresentazione dell’Hecyra (106 a.C.) il pubblico si alzò mentre gli attori recitavano e andò in massa ad acclamare i gladiatori perché era giunta voce che in quel momento questi stavano combattendo. E questo affronto Terenzio lo subì ben due volte!

Ancora Proximo: ascoltami! Impara da me! Io non sono stato il migliore perché uccidevo velocemente. Io sono stato il migliore perché la folla mi amava. Conquista la folla e conquisterai la tua libertà.

E questa è un’informazione veramente importante: i gladiatori, quelli che vi erano costretti perché servi o prigionieri, avevano una possibilità di affrancarsi. Se erano amati dalla folla, questa chiedeva per i suoi beniamini la libertà e questo avveniva quando il padrone donava loro il rudis, una spada in legno (Proximo è un rudiarus, infatti nel film ha sempre una virga in mano). Una volta riconquistata la libertà, essendo socialmente infamis per legge, non rispettabili, non restava loro che diventare istruttori in Ludis, scuole di gladiatori, o addirittura possederne una, come Proximo nel film, o ancora essere guardie del corpo: non venivano arruolati nell’esercito perché ritenuti dei mercenari, per questo erano  poco affidabili.

L’amore del pubblico per i gladiatori era tale che nel film Commodo è furibondo: non può uccidere Massimo, dice, perché è idolatrato dai romani (il nipote Lucio gioca a fare Massimo). Nell’arena l’imperatore fa il segno del pollice verso per dare ordine a Massimo di uccidere l’avversario, ma lui disobbedisce. E allora Commodo è ancora più infuriato: “acclamano Massimo il misericordioso”. E non ha torto ad infuriarsi, l’imperatore deve obbedire alla folla che si fa trasportare da un gladiatore!

 

Figura 3 Il segnale del pollice verso con cui Commodo sta comandando a Massimo di finire l'avversario.

Detto per inciso, quella del pollice verso è un’altra falsa credenza. La realtà è che le fonti parlano di pollice converso o verso pollice, ma  non specificano quale fosse il verso stesso. Pare che il pollice stretto nel pugno (pressus) salvasse la vita al gladiatore perché fosse da intendersi come simbolico della spada nel fodero. Al contrario, il pollice verso l’alto o in orizzontale fosse da interpretare come condanna a morte in quanto mima la spada che uccide. L’equivoco del pollice rivolto verso il basso nacque da un quadro di Jean-Léon Gérome Pollice verso appunto, che raffigurava l’imperatore  nell’atto di condannare a morte il gladiatore con il gesto che tutti conosciamo. Talmente le arti visive hanno da sempre una forte influenza sulla nostra cultura che è ormai nell’immaginario comune questo gesto e i film hanno riportato la tradizione senza porsi domande, facendo dilagare questa falsa opinione. Anche Ridley Scott cadde nello stesso equivoco all’inizio, ma venuto probabilmente a conoscenza dell’errore, decise di perseverare nel medesimo per non indurre in confusione il pubblico.

 

Figura 4  il quadro di Gerome che generò l'equivoco storico del pollice riverso verso il basso.

Quando i gladiatori si allenano nel ludus non lo fanno con armi vere, cosa che si vede chiaramente nel film: quelle che usano sono armi di legno (come quella usata anche dal piccolo Lucio, quindi anche dai bambini) e oltre ad essere usate per allenamento, erano anche utilizzate per far combattere gli storpi per divertimento come fossero buffoni di corte (Caligola pare apprezzasse particolarmente queste scenette).

Un particolare che non è sufficientemente sottolineato è la quantità di gente che lavorava sotto l’arena. Un numero consistente di inservienti era impiegato per i più incredibili degli spettacoli, qualunque fosse in quel momento. Serviva gente per accudire gli animali, per manovrare le macchine di scena, per pulire il pavimento dal sangue : ogni volta che entra nell’arena Massimo prende sabbia da terra.  Neanche questo è un particolare trascurabile perché l’arena si chiama così proprio perché era sabbia cosparsa su tavole in legno: in questo modo il pavimento era adatto alla pulizia rapida fra un combattimento e un altro e poteva essere aperto per fare entrate spettacolari e stupire così gli astanti. Chi non ricorda il combattimento finale fra Massimo e Commodo? Ebbene loro entrano proprio dal centro dell’arena, sorgono dal nulla portati su da un montacarichi, meravigliosi nel loro contrasto di armature, bianco l’imperatore, nero il gladiatore. Proprio questo era l’effetto che si voleva ottenere, lo stupore, la meraviglia, l’eterna riconoscenza del popolo nei confronti di chi aveva pagato tutto ciò, gli editor. Altro non era che propaganda politica. E perché riuscisse bene serviva, appunto, moltissima gente che lavorava dietro le quinte in condizioni veramente infime fra le urla del pubblico che rimbombavano, il sangue che colava sulla testa dei poveri inservienti, la sabbia che filtrava dalle tavole, il pericolo che se scoppiava un incendio, quella era la parte che prima si sarebbe incendiata.

 

Figura 5 Veduta del Colosseo oggi. Quello che si vede sono proprio la serie di corridoi in cui gli inservienti dovevano lavorare in condizioni disumane e i gladiatori e gli animali aspettavano il loro turno per entrare in scena.

Fra questi c’era chi aveva un compito curioso: abbiamo detto che il Colosseo superava i 50 metri di altezza, non era, come il teatro, una struttura curata per favorire l’acustica, ma la visione e chi era in alto, popolino e donne, non sentiva assolutamente nulla di ciò che si diceva in basso; per questqa ragione ecco l’idea di unire due teatri creando un anfiteatro, doppio teatro, appunto, perché si eliminano angoli morti e la visione  diviene perfetta da ogni parte e d’altra parte. questo è infatti il motivo per cui gli spettacoli si chiamavano spettacoli,ossia:  ciò che si vede. Serviva chi, fra uno scontro e l’altro, mostrava dei cartelli ben visibili dall’alto, su cui fossero precisati i particolari del combattimento: chi si affrontava, in che modo, se c’era un condannato, qual era la sua pena e quale la sua condanna. Vanno inoltre menzionati, per ultimi, ma non per importanza, I misenarii, i soldati di stanza a Baia del Miseno, il corpo creato da Claudio per manovrare i velieri. Vi era un castra misenatium proprio in via Labicana, in cui i misenarii alloggiavano per poter essere a disposizione per stendere il velarium un enorme telo, quando necessario. In caso di pioggia o forte sole, infatti, serviva una copertura per il pubblico. Ma pensarlo è un conto, manovrarlo è altra questione. Serviva chi conosceva perfettamente l’andamento dei venti e per questo vennero impiegati esperti nel settore che conoscessero il funzionamento dell’anemoscopio per misurare la direzione del vento (nelle vicinanze del Colosseo ne è stato ritrovato uno)e sapessero usare le lunghe funi per le grandi manovre.

Insomma per quanto il film sia inventato, il gladiatore pure, la storia con Commodo anche i particolari aderenti alla realtà sono molti ed è un piacere per chi conosce come realmente doveva apparire questo meraviglioso monumento, il Colosseo. A vederlo ricostruito con tanta precisione, la fantasia non fa fatica. Inoltre non è inventata la figura di Commodo, sebbene favoleggiata sia la sua fine. Il capo dei pretoriani nel film è Quinto. E quinto Emilio Lepido, prefetto del pretorio, è colui che ordina la morte dell’imperatore (nel film evita l’uccisione di Massimo). La commissiona a una concubina, ma questa non riesce e allora lo fa Narcisso, l’allenatore personale di Commodo nelle arti gladiatorie, strangolandolo quella sera stessa nel bagno sperando in una grossa ricompensa. L’Historia Augusta narra che quando popolo e senato seppero che Commodo era morto, chiesero per lui il trattamento riservato ai nemici della Patria: che il corpo fosse trascinato con un uncino e gettato nel Tevere. “Che il ricordo dell’assassino e del gladiatore sia cancellato del tutto”(Historia Augusta, Commodo, 19,1)

E il film lascia il dubbio se Commodo potesse davvero essere figlio dell’imperatore filosofo, Marco Aurelio,colui che fu tanto sfortunato da trascorrere quasi tutto il tempo del suo regno in guerra, proprio lui che non chiedeva altro che dedicarsi agli studi. Lucilla dice a Massimo “Tu sei il figlio che avrebbe dovuto avere mio padre”, ma così non fu. E quando Commodo arriva tardi alla prima battaglia, quella in Germania scendendo velocemente da cavallo dice al padre “L’ho persa? Ho perso la battaglia?” e il padre gli risponde “Tu hai perso la guerra!” Chissà. Forse Ridley Scott, come chi di noi studia la storia con senso critico, conosce i dubbi che circondavano la paternità dell’Augusto Comodo e conclude che forse è proprio così, forse Commodo è proprio figlio di un gladiatore di cui si era infatuata la madre. D’altra parte non era inusuale che questo accadesse. Si narra che la moglie di un senatore seguì il suo idolo ovunque, completamente travolta dall’amore che provava per lui, lasciando a casa il marito nella vergogna.

Insomma questo film è pieno di errori e imprecisioni senza ombra di dubbio: questi però sono a vantaggio di chi lo guarda. Secondo chi scrive è talmente prezioso non dimenticare il nostro passato per comprendere il presente che forse è preferibile un errore storico ( comprensibile magari solo agli addetti del mestiere) capace però di divulgare molte informazioni in un fotogramma. Cosa che gli storici, anche i più coscienziosi, non riescono a fare e che neanche questo articolo ha la pretesa di fare. Chi scrive è inoltre convinta che per chi i fatti li conosce, per chi sa che Commodo regnò 13 anni e non un paio (come si potrebbe desumere dal film), che Lucilla era sposata a Lucio Vero (correggente imperatore col padre) e non lo aveva per figlio (ne ebbe tre di figli, tutti morti giovanissimi), che le catapulte in campo aperto non si usavano perché non c’era tempo in battaglie veloci, che Marco Aurelio morì a 56 anni con una folta capigliatura, che i cani lupo ancora non esistevano come razza (e nel film ce n’è uno), per chi i fatti li conosce appunto, non è una grande fatica risarcire mentalmente le mancanze e gli errori. Per chi non li conosce, il racconto è tanto affascinante da lasciare impresse nella memoria molte più informazioni di qualsiasi pagina scritta, perciò, ben venga. Con questo non si vuole sostenere che purchè se ne parli, va bene anche con falsità. Sarebbe un controsenso per chi ha trascorso gran parte della vita a studiare la storia per giungere alla verità, convinta che le radici fossero molto profonde. E’ innegabile, però, che le logiche che muovono questi colossal sono le idee del regista, un’artista che vuole dipingere su una tela bianca ciò che lui ha in testa. Il film poi è un prodotto da vendere, ci sono le logiche del mercato, ci sono i produttori che pagano . E allora ci sarà poi chi, senza per forza arricciare il naso, spiegherà a chi è interessato come andarono davvero i fatti. Se qualcuno pensa che questo film sia cruento, si sbaglia. Se Scott avesse dovuto essere più reale, avrebbe dovuto rincarare la dose di crudeltà e sangue perché ai tempi dei gladiatori il concetto di vita era molto differente dal nostro. Infine, e qui il giudizio sarà di parte, poco importa se l’inferno è un conceto medievale, lungi ancora dal dover arrivare. Quando Russel Crowe pronuncia la famosa frase Al mio segnale, scatenate l’inferno, ognuno a modo suo ha sussultato sulla seduta del cinema!

 

Commodo e la sua politica economica.

 

Commodo fu imperatore della dinastia degli Antonini dal 180 al 192 d.C. Fin dall’epoca dei Flavi l’imperatore in carica decideva chi adottare perché ritenuto meritevole e in questo modo designava l’erede adottato a succedergli al comando quando fosse giunta l’ora. Commodo invece era figlio naturale di Marco Aurelio e dunque fu il primo dopo tanto tempo che ereditò il potere per motivi dinastici e per assicurarsi la successione Marco Aurelio lo dichiarò Augusto 3 anni prima di morire, nel 177  quando il figlio era ancora sedicenne.

Purtroppo il giovane imperatore è stato consegnato alla storia come sovrano assoluto e dissoluto, proprio lui, figlio di un padre che come Augusto, Nerva, Traiano,  si considerava “princeps” nel suo significato repubblicano, primo fra i cittadini. La storiografia dell’epoca ricorda gesti dissoluti e scellerati di Commodo fin dalla sua giovinezza quando voleva bruciare in un forno un servo per avergli preparato un bagno troppo caldo.

Inoltre era risaputo che era meglio non contraddirlo se non si voleva finire uccisi senza neanche un processo.

Commodo venne considerato (senza fondamento storico, solo per motivi diffamatori, bisogna dirlo) figlio illegittimo di Marco Aurelio, tanto i suoi comportamenti erano lontani dallo stoicismo paterno: il giovane rampollo amava scendere nell’arena e confrontarsi come un gladiatore vestito da Ercole Romano (in realtà si confrontava con storpi e struzzi, ma anche i suoi detrattori ammisero che era bravo nel corpo a corpo). E proprio come Ercole romano volle essere raffigurato in alcuni denari.

 

 

In generale l’imperatore viene ricordato più per il suo comportamento che per la sua politica interna ed estera, e alla sua morte fu colpito da damnatio memoriae fino a che non fu riabilitato da Settimio Severo appena due anni dopo.

Sta di fatto che quando Commodo salì al trono non aveva a disposizione casse dello stato molto pingui. Le guerre in cui era stato impegnato suo malgrado Marco Aurelio avevano sufficientemente impoverito le risorse dell’erario in quanto non erano guerre espansionistiche mirate al colonialismo imperialista ma atti necessari per il consolidamento dei confini e dunque molto dispendiose, limitatamente proficue perché prive di nuove acquisizioni.

Per questo Commodo aveva bisogno di liquidità immediata e dunque abbassò il titolo del denario e portò il contenuto di fino al 67 % (sotto Marco Aurelio era al 75%).

Inoltre impose il tributum capitis di 5 aurei annui (5 denari annui per i decurioni italici) ai senatori e alla loro familia, e nella familia erano compresi i servi: ne conseguiva che chi aveva più mezzi, contribuiva in misura maggiore, e questo non era piacevole per gli honestiores.

Commodo favorì anche la nascita di piccole e medie imprese, soprattutto nei trasporti: Roma dipendeva per la maggior parte dall’importazione e Commodo voleva assicurarsi che i prodotti arrivassero di continuo all’Urbe. L’imperatore diede nuovo impulso anche allo sviluppo delle banche, in particolar modo quelle medie e piccolo amministrate da liberti.

Come già capitò a Nerone, Commodo non fu odiato dal popolo: questa tipologia di sovrano è invisa ai ceti abbienti e per questo viene dipinta dagli storiografi in modo così negativo. Commodo riteneva di essere un sovrano nel senso orientale del termine, direttamente discendente dalla divinità. Questo concetto è molto lontano dalla mentalità politica romana. E i senatori erano diretti avversari di un sovrano che si considerava detentore assoluto del potere, perchè l’imperatore avrebbe dovuto rivolgersi al senato prima di prendere ogni decisione: in quest’ottica è quindi da porsi il comportamento di Commodo di porre i ceti più influenti in condizione di non nuocere colpendoli con tasse per ottenere l’adorazione del popolo e l’isolamento degli avversari.

Questo però costo a lui e a chi come lui considerò il potere come assoluto il fatto di essere ricordato come quello che oggi definiremmo un sociopatico, un sadico crudele, incestuoso pusillanime

Che il ricordo dell'assassino e del gladiatore sia cancellato del tutto. Lasciate che le statue dell'assassino e del gladiatore siano rovesciate. Lasciate che la memoria dell'osceno gladiatore sia completamente cancellata. Gettate il gladiatore nell'ossario. Ascolta o Cesare: lascia che l'omicida sia trascinato con un gancio, alla maniera dei nostri padri, lascia che l'assassino del Senato sia trascinato con il gancio. Più feroce di Domiziano, più turpe di Nerone. Ciò che ha fatto agli altri, sia fatto a lui stesso. Sia da salvare invece il ricordo di chi è senza colpa. Si ripristino gli onori degli innocenti, vi prego.

Così di lui parlò l’Historia Augusta, non nominandolo neanche come imperatore, ma come gladiatore.

Sotto il profilo numismatico menzione a parte meritano i medaglioni fatti coniare da Commodo che li amò in particolar modo e ne volle di belli, tanto da far pensare ad alcuni studiosi che venissero usati come moneta corrente.

 

 

 

In ossequio alla tradizione, eternò la divinizzazione del padre con begli esemplari di denari e sesterzi

del DIVUS MARCUS.

 

 

In ultimo va detto che elogiò le sue truppe con monete che ricordavano la CONCORDIA EXERCITUM e la FIDES EXERCITUM: Commodo aveva infatti dovuto domare una rivolta in Britannia e vi mandò il futuro imperatore Pertinace e questa tipologia di monete, ricorda l’evento.