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Quando capita di spiegare a qualcuno che non è nel settore della numismatica una moneta romana di epoca imperiale, si parte dal volto impresso sul dritto per poi ragionare del fatto che gli imperatori si servivano anche di questo oggetto per “propagandare” la propria immagine e, con essa, il proprio operato.

Ci si sofferma su quanto sia incredibile poter avere la certezza che un abitante dell’Impero che si trovasse in Africa o in Grecia, in Asia o in Spagna, conoscesse il volto di un uomo, un solo uomo che viveva a Roma e dal quale dipendevano le sorti del suo paese, della sua famiglia, della sua stessa vita. Un uomo il cui giudizio e potere erano assolutamente indiscutibili e universalmente riconosciuti. Quanta fragilità si celava dietro questa onnipotenza che poteva essere cancellata in qualunque, fin troppo semplice, modo. Non è un caso se i soggetti più sensibili, divenuti imperatori, impazzirono passando alla storia per i loro atti scellerati invece che per le meno eclatanti, eppur buone, decisioni. Ma questa è un’altra storia.

Per capire fino in fondo il decisivo sviluppo di concetto di propaganda è necessario fare un piccolo, fondamentale passo indietro.

Leggi tutto: IL FILO NASCOSTO CHE LEGA ALESSANDRO MAGNO E AUGUSTO: LA PROPAGANDA IN TEMPI LONTANI DA INTERNET.

Pubblicato Martedì, 13 Novembre 2018 10:25

Classificando classificando, mi è capitato di fare una curiosa riflessione….seguitemi…

“Usurai” Quentin Metsys (1520-1525), Galleria Doria Pamphili.

Di questo quadro abbiamo già parlato in un post datato il 23 aprile 2013 e non avevo un motivo preciso per riproporlo finché non mi sono trovata faccia a faccia con Tito Flavio Vespasiano in un sesterzio che ne riportava le fattezze del volto. Non era avvenente Vespasiano, non era neanche particolarmente simpatico alla storiografia, né al popolo, né al figlio Tito che gli rimproverava l’eccessiva austerità nel gestire le casse statali. L’imperatore in carica, cresciuto da un padre esattore delle tasse della provincia di Rieti, allevato in campagna dalla nonna che ci teneva a far quadrare i conti, aveva un carattere severo e rigoroso. D’altra parte il capostipite della dinastia Flavia si trovò davanti le casse disastrate dalle spese dissennate di Nerone, dalla guerra di Giudea, dall’anno dei quattro imperatori e da tante altre scelte non oculate. Svetonio afferma che appena eletto l’imperatore sostenne in modo lapidario “Perché la Res publica possa sopravvivere sono necessari quaranta milioni di sesterzi (Svetonio, Vita di Vespasiano, 16).

Leggi tutto: Vespasiano e il suo profilo fiammingo!

Pubblicato Giovedì, 04 Maggio 2017 08:49

IL PAGAMENTO DEL TRIBUTO” di Masaccio, Cappella Brancacci, 1425.

Questo incredibile affresco  meriterebbe un discorso lunghissimo che cercherò, per quanto possibile, di limitare.

Gli storici dell’arte a lungo si sono interrogati, in mancanza di documentazione ufficiale che chiarisca la questione, se l’affresco è stato cominciato da Masolino da Panicale per essere poi proseguito dal giovane Masaccio.

Il soggetto è divisibile in tre momenti dell’episodio narrato nel Vangelo secondo Matteo. Gesù si trova con i suoi Apostoli a Cafarnao e gli viene chiesto da un esattore il pagamento del tributo: l’esattore è di spalle e in questa posa in genere veniva rappresentato Giuda o il diavolo. Gesù a questo punto ordina a Pietro di andare a prendere il denaro e lo fa con un gesto perentorio. Pietro obbedisce e lo vediamo sullo sfondo che prende dalla bocca di un pesce il soldo che servirà allo scopo. Torniamo in primo piano sulla destra e troviamo Pietro che dà il denaro all’esattore delle tasse.

L’avvenimento che Masaccio decide di raffigurare non è di quelli più famosi o conosciuti ma l’affresco si trova nella Cappella Brancacci nella Chiesa di Santa Maria del Carmine a Firenze e c’è un motivo preciso per la scelta del tema. Fermiamoci un attimo perché bisogna capire bene: il Trecento era stato un secolo difficile in cui Firenze subì un vero crack finanziario e rialzarsi era stato veramente faticoso. I banchieri fiorentini  avevano prestato denaro a Edoardo III d’Inghilterra e quando questi intraprese la Guerra dei Cento Anni  (1337-1453) giunse la notizia dell’insolvenza e il contraccolpo fu duro. Qualche anno dopo una disastrosa alluvione fece crollare gli argini dell’Arno e l’unione di questi due eventi nefasti fece fallire quasi tutte le note e facoltose famiglie intorno alle quali girava la rigogliosa economia fiorentina. Ebbene, giunti al 1400 Firenze era, nonostante tutto, alle prese con una vita letteraria e artistica assolutamente straordinaria, senza precedenti: il Rinascimento. Purtroppo la vita economica e politica non andava di pari passo con quella artistica a causa della sconfitta nella battaglia di Zagonara e delle spese che avrebbe richiesto l’ultimazione della costruzione del Duomo: bisognava fare cassa e la cassa, lo sappiamo bene, la si fa con le imposizioni di tasse. Ebbene, la Signoria di Firenze instituì nel 1427 il catasto, il primo tentativo nella storia moderna di equità fiscale poichè si basava sulla tassazione dei reali redditi delle famiglie in base alla stima delle loro ricchezze. Consultando i registri del catasto dell’epoca possiamo avere un quadro reale della città e notiamo che gli Strozzi rimanevano la famiglia più ricca, ma si faceva strada man mano quella dei Medici i quali erano riusciti ad avere anche il consenso del popolo, essendone formalmente i difensori nella persona di Cosimo de’ Medici.

Ecco allora che in un solo colpo abbiamo di fronte agli occhi l’importanza delle opere d’arte: un affresco di straordinaria bellezza, una bellezza eterna, che ancora oggi è importante ricordare, e un vero e proprio manifesto propagandistico. Sapendo che all’epoca l’analfabetismo dilagava, le chiese, in cui tutti si recavano, divenivano il miglior posto in cui pubblicizzare i nuovi regnanti, gli atti dei vari governi, gli avvenimenti storici e anche, perché no? i gossip!! Basta saper leggere le immagini….

 

  

Fig. 1. Il Pagamento del Tributo, Masaccio, 1425.

Fig. 2. La Cappella Brancacci in Santa Maria del Carmine a Firenze.

Pubblicato Giovedì, 08 Gennaio 2015 11:41

Piazza Navona era in origine il famoso stadio di Domiziano (parliamo dell’86 d.C.) dove l’imperatore amava far svolgere i giochi olimpici greci, attività che, a dirla tutta, i romani non amavano particolarmente. Questi giochi si chiamavano “agones” e di qui il toponimo della Piazza “in agone”, “innagon”, “navone” e infine “Navona” come noi chiamiamo uno dei luoghi più amati di Roma. E’ chiaro che la storia di Piazza Navona è lunghissima, ma oggi volevo parlarvi della fase che iniziò intorno al 1630 e che le donò l’attuale aspetto che tutti conosciamo. In quell’anno il cardinale Giovanni Battista Pamphili, divenuto papa nel 1644 con il nome di Innocenzo X, volle erigere il Palazzo Pamphili ( che dal 1961 è sede dell’ambasciata del Brasile). In questo mirabile Palazzo abitò uno dei personaggi più famosi di Roma, Donna Olimpia Maidalchini Pamphilj, soprannominata nelle “pasquinate” la “Pimpaccia di Piazza Navona”. La Pimpa altri non era che un personaggio della commedia seicentesca, una donna furba, senza scrupoli, prepotente e arrogante: bisogna dedurne che i romani non nutrivano particolare simpatia per questa nobildonna.
Ma facciamo un passo indietro……. Donna Olimpia Maidalchini nacque a Viterbo nel 1591, figlia di un appaltatore viterbese. Destinata a prendere i voti con la sorella per lasciare l’eredità intatta per il fratello, lei non ne voleva sapere assolutamente di finire in un convento e accusò il suo tutore spirituale di tentata seduzione, lo fece scomunicare (tranquilli, anni dopo si pentì e lo fece nominare vescovo!!) e andò a sposare un facoltoso signore che la lasciò vedova dopo tre anni. Ricca e libera, venne a Roma e si unì in matrimonio a Pamphilio Pamphili, nobile impoverito di 27 anni più vecchio di lei: i soldi non erano un problema al momento, le serviva il potere. Ebbene non solo entrò a testa alta nell’ambiente della Roma che contava, ma grazie al suo denaro riuscì a indirizzare l’elezione del cognato, Giambattista Pamphili, a pontefice: Innocenzo X Pamphili.
I maligni sostenevano che lei trascorresse più tempo con il cognato che con il marito ma gli storici moderni tendono a considerare come falsa questa informazione e poi, comunque, anche il buon Pamphilio passò presto a miglior vita.
Donna Olimpia Maidalchini a questo punto ebbe una vita impegnata ma anche molto criticata: aiutava le giovani fanciulle in difficoltà, ma i maligni sostenevano che avesse messo su un bordello; coordinava l’assistenza ai pellegrini per il Giubileo del 1650, e i suoi detrattori la accusavano di farlo solo a scopo di lucro. Ma il bello venne quando sostenne Bernini nell’assegnazione della realizzazione della Fontana dei Quattro Fiumi a Piazza Navona: i bene informati giurarono che l’artista (rimasto ormai senza il suo più grande sostenitore, papa Urbano VIII, e quindi senza quasi più lavoro) per vincere l’appalto le portò il progetto della fontana, ma in argento massiccio, un piccolo cadeaux insomma!
Ma Donna Olimpia aveva un figlio, Camillo, il quale doveva diventare cardinale…doveva! Ma poi conobbe Olimpia, una donna di cui si innamorò. Il pontefice Innocenzo X ebbe talmente paura delle guerre che potevano scatenarsi fra nuora e suocera da trasferire i novelli sposi a Frascati: a distanza di sicurezza insomma. Dopo qualche anno i due tornarono perché il papa penso che, dopotutto, era meglio se Donna Olimpia Maidalchini se la predeva con l’altra Olimpia invece che con lui!!
Il 7 gennaio 1655 Innocenzo X trovò pace dalla cognata, cioè morì. E i maligni sostengono che
“Ella trasse di sotto il letto papale due casse piene d'oro, se le portò via, e a quanti le chiedevano di partecipare alle spese del funerale del papa rispondeva: "Che cosa può fare una povera vedova?”

Lei si ritirò da Roma e veramente non fece neppure la tomba al cognato: dopo anni suo figlio Camillo fece erigere allo zio un monumento funebre nella chiesa di Sant’Agnese in Agone.
Donna Olimpia morì a San Martino al Cimino nel 1657 lasciando in eredità 2 milioni di scudi.
Narra la leggenda che la notte fra il 6 e il 7 gennaio un carro infuocato percorre a tutta velocità Piazza Navona con la Pimpaccia alla guida che terrorizza chi ha la sventura di incontrarla. Pensate che fino al 1914 vi era una via vicino Villa Pamphili che si chiamava Via Tiradiavoli perché si diceva che lì i diavoli avessero aperto una voragine in cui Donna Olimpia dopo aver percorso Piazza Navona col carro infuocato veniva gettata per tornare all’inferno.
Le pasquinate su di lei erano molto frequenti ei romani non scherzavano quando si trattava di criticare un personaggio in vista. Ecco come veniva ricordata
"Chi dice donna, dice danno - chi dice femmina, dice malanno - chi dice Olimpia Maidalchina, dice donna, danno e rovina"

 

Pubblicato Sabato, 24 Gennaio 2015 09:44

Hieronymus Bosch, IL PRESTIGIATORE, 1475-1480, Saint-Germain-en-Laye, Musée Municipal
Il quadro che proponiamo oggi è veramente da guardare con attenzione, come sempre quando si parla di un genio visionario ante litteram come Bosch.
Nel quadro il pittore ha voluto mostrare quanto si rende ridicolo chi crede a tutto: il prestigiatore fa vedere un oggetto ad un credulone mentre quest'ultimo vomita rane, segno del maligno o illusione creata dall'imbroglione? Imbroglione si....perchè un suo complice intanto sfila la borsetta con i soldi allo sciocco che per la sua dabbenaggine ha raccolto intorno a sè un manipolo di persone: una coppia, una suora, due cittadini e un bambino che gioca con una girandola e lo guarda esterrefatto. Nella scena anche una civetta (elemento che ricorre spesso nei quadri di Bosh e che porta con sè un'accezione negativa) e un cane vestito da giullare.
Il significato di questa scena è tutto racchiuso in un proverbio fiammingo
"chi dà ascolto alle illusioni perde il denaro e si fa schernire dai fanciulli".

Pubblicato Giovedì, 08 Gennaio 2015 08:47