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Storia e dintorni: la storia vista con gli occhi di chi l'ha fatta, vissuta, raffigurata.

Quella che vi presentiamo e' una rubrica storica e, specificatamente, storico artistica che non ha nessuna pretesa meramente didattica.

L'intenzione non è infatti quella di voler insegnare la storia, anche in virtù del fatto che riteniamo che chi ha passione per la numismatica sia già dotato della giusta sensibilitá di cui necessita l'osservazione degli eventi del passato, l'intento semmai é quello di soddisfare un'esigenza dello scrivente di rendere i personaggi storici più umani e vicini al nostro modo di sentire la vita.                                                                                                        

Molto spesso infatti lo studio della storia diventa freddo ed impersonale e chi di avvicina alla materia tende a memorizzare fatti e date svuotandola di ogni nesso logico. Qui si vorrebbe dar voce a chi quella storia l'ha fatta, chi l'ha subita, chi l'ha veramente vissuta.

Se chi scrive riuscirá a farsi seguire in modo naturale attraendo il lettore in un dedalo di racconti, speriamo sempre interessanti, significherá che l'intento é andato a buon fine: chi legge avrá ascoltato i fatti dalla voce dei protagonisti, vincenti o perdenti. Ne ascolterá le lamentele, i vizi, le virtù, le ossessioni e le debolezze...esattamente come succede a ciascuno di noi. Perchè la storia, non dobbiamo dimenticarlo mai, siamo noi, tutti noi.

 
Dott.ssa Alessandra Parrilla.

Seguiteci anche su facebook, troverete molte curiosità di storia e numismatica che possono interessarvi e potrete anche interagire con noi per soddisfare qualche curiosità con la consueta professionalità che ci contraddistingue.
 

Era il 37 d.C. e un obelisco proveniente dall'Egitto veniva trasportato a Roma per essere posto nel circo di Caligola: tanto era pesante da necessitare, ci informa il meticoloso Plinio, di una nave fatta appositamente costruire. L'obelisco faceva il suo figurone all'epoca ma poi, col passare del tempo, l'incuria e l'abbandono fece sì che non rimase che un vago ricordo del suo antico splendore. E ne passò molto di tempo prima che Sisto V decidesse di spostare l'enorme colosso: questo pontefice era talmente energico e risoluto che tutti conosciamo la Roma cosidetta Sistina nonostante egli sia stato papa per soli 5 anni. Immediatamente richiese al suo entourage di grandi artisti dei progetti adatti all'immane impresa e quello che venne approvato dal papa era di Domenico Fontana: l'ingegnoso architetto aveva studiato un sistema di impalcature che creava una strada sospesa su cui lavoravano argani e carrucole racchiuse in un castello di ulteriori sostegni. Il lavoro veniva coordinato dal Fontana stesso, posizionato in alto su un palco appositamente eretto per l'occasione perchè fosse possibile avere una visione si insieme su come procedeva l'opera di sollevamento. L'impresa era talmente complessa e pericolosa (si tratta di un obelisco di pietra alto 25 metri e 350 tonnellate di peso) che la zona circostante era stata opportunamente transennata e vi era il divieto assoluto di disturbare i lavori in corso. Qualsiasi errore poteva rivelarsi fatale. Qui la leggenda comincia ad insinuarsi, non sappiamo bene in che misura. Era stato posto un obbligo assoluto di silenzio da parte dei curiosi, pena la forca opportunamente eretta nella piazza con tanto di boia e assistenti del carnefice sempre pronti a far rispettare il divieto! Dopo tanto, duro, attento lavoro arrivò infine il momento di sollevare definitivamente il colosso quando un operaio si rese conto che le corde stavano per cedere. Nessuno aveva il coraggio di fiatare quando a un certo punto si sentì fra la folla un uomo urlare "Acqua alle corde!" Era il capitano di una nave di lunga carriera di nome Bresca: la sua esperienza in mare gli suggeriva che le corde quando vengono bagnate si restringono aumentando così la loro resistenza. Di corsa lanciarono acqua e l'obelisco fu definitivamente sollevato nella posizione che tutti noi conosciamo. Neanche a dirlo, il Bresca non fu condannato a morte e si presentò al cospetto del papa il quale per pro forma prima lo graziò, poi gli chiese cosa volesse in cambio dell'enorme servigio reso alla Chiesa: il capitano chiese per sè, per i figli e per i suoi discendenti il privilegio di donare le palme intrecciate (i "Parmureli") al Vaticano. Sarà vera questa storia? noi non lo sappiamo ma una cosa è certa......questa famiglia sanremese ancora fornisce i Parmureli per la cerimonia della domenica delle Palme.

Pubblicato Lunedì, 15 Dicembre 2014 11:24

 Buongiorno cari amici numismatici e non…
Come di consueto…giunti al venerdì è piacevole organizzare il weekend e…perché no? Una bella passeggiata al centro di Roma. E, come di consueto, passeggiando passeggiando alziamo gli occhi e scopriamo…..
In Via dei Portoghesi, nelle vicinanze di Piazza Navona, vi è la cosiddetta Torre dei Frangipane e se guardate bene…in alto a destra….vedrete la statua della Madonna con una lampada accesa, sempre accesa……. Vediamo perché.
I Frangipane erano una delle più importanti e antiche famiglie di Roma. Uno dei vezzi dei nobili era quello di avere in casa animali bizzarri, costosi, rari, magari orientali. Ebbene, i Frangipane presero per sé una scimmietta di nome Hilda e la tennero in casa con loro. Hilda divenne, come sempre accade con gli animali domestici, un membro della famiglia a tutti gli effetti e fu messa da parte quando nacque un neonato. Ma Hilda, come tutte le scimmiette, aveva la tendenza ad imitare ciò che vedeva e appena il neonato fu lasciato incustodito lo prese e lo portò con sé sulla Torre per poter……….cambiare il pannolino! Quando i padroni se ne accorsero cominciarono a pregare la Madonna in preda al panico e il padrone usò il fischio tipico per richiamare Hilda la quale, ubbidiente, accorse!! Il neonato, lasciato sulla torre, fu immediatamente tratto in salvo. Da quel momento sulla Torre dei Frangipane la lanterna è accesa per lodare la Madonna di aver salvato il neonato.
Per questo, se cercate questa torre e chiedete informazioni di dove sia dovete chiedere della “Torre della Scimmia”, perché è conosciuta così.
Una curiosità: il capostipite della famiglia Frangipane era tale Flavio Anicia, ricco mercante di Roma. Nel 717 d.C. durante una carestia dovuta ad una alluvione del Tevere la popolazione era affamata: Anicia prese una barca e passò per le Vie dell’Urbe distribuendo pane fra la gente disperata che urlava frange nobis panem!! Da quel momento la famiglia Anicia divenne la famiglia Frangipane.

Le due foto mostrano la Torre dei Frangipane ed il particolare della lanterna sempre accesa con la statua della Madonna.

 

 

Pubblicato Lunedì, 01 Dicembre 2014 08:53

"Pictoribus atque poetis omnia licent" Così parlava il Malvasia, storico dell'arte del 1600 cui dobbiamo preziose informazioni sui costumi dell'epoca riguardo il mecenatismo. E ancora prosegue "quell'eccesso di spirito che tali li rende [cioè grandi artisti], è lo stesso che a viva forza li porta a queste bizzarrie". Ma veramente nel 1600 gli artisti erano considerati come degli animi talmente grandi da non potersi contenere e, dunque, da dover "giustificare" per gli eccessi come effetti collaterali del loro genio? La verità è che la parabola de genio incompreso era ben lungi dall'essere formulata, se si eccettua la figura di un pittore sui generis come Salvator Rosa.

 

Figura 1 Salvator Rosa, Allegoria dell amenzogna. Galleria degli Uffizi a Firenze

 

Costui era l'unico che rifiutava di essere considerato un semplice decoratore. Essendo però una voce isolata fra i suoi contemporanei era costretto ad avere una vera e propria claque che lo elogiava e lo apllaudiva alle esposizioni che egli organizzava per mostrare i propri lavori sperando di potersi svincolare dal mecenatismo di ricchi signori. Salvator Rosa li mandava a farsi benedire e si rifiutava di prendere "ordinazioni" per i propri lavori asserendo con forza che egli si assoggettava solo all'ispirazione. Questo atteggiamento non gli portò grande fortuna, ma certamente ha il merito di aver contribuito a dare moderna dignità all'artista. 

La protesta di Salvator Rosa fu fondamentale se vista sotto la luce della moderna critica perche' in questo periodo (Rosa nacque a Napoli nel 1615 morì a Roma nel 1673) ancora si credeva che il talento artistico fosse ereditario per cui in una città come Venezia i pittori rientravano nella corporazione degli artigiani e questo "mestiere" si tramandava di padre in figlio: questo concetto a un ribelle irriverente come Salvator Rosa ma anche a geni indiscussi come Caravaggio (1571-1610) non poteva andare bene. Ma non tutti potevano permettersi il lusso di ribellarsi ai loro committenti: non era una scena usuale vedere un Michelangelo (1475-1564) che va via offeso perchè non ottiene le attenzioni che ritiene di meritare dal pontefice e per questo viene inseguito dai messi papali che invano cercano di riportarlo indietro (detto per inciso, lui tornò dal papa dopo aver sbollito la rabbia).

 

Leggi tutto: ARTISTI BAROCCHI: GENI O IMBIANCHINI?

Pubblicato Martedì, 12 Marzo 2013 11:28

Correva l’anno 1505, era il mese di marzo. Un personaggio giungeva a Roma chiamato dal papa Giulio II (nato Giuliano Della Rovere, pontefice dal 1503-1513): aveva 30 anni e lo accompagnava una fama già consolidata a Firenze presso i Medici. In realtà a Roma egli era già stato, per quattro anni, e il suo segno lo aveva lasciato in particolare in opere che a sentirle nominare appaiono davanti agli occhi della maggior parte della gente: il Bacco e La Pietà. Quando arrivò la chiamata dal pontefice l’artista si trovava nell’appena nata Repubblica fiorentina dove tentava di interpretare le neonate idee politiche portate avanti da Niccolò Machiavelli. Questi proponeva un modello di cives-milites, di cittadino abile alla guerra che permettesse alla città di Firenze di difendersi autonomamente senza dover ricorrere alle milizie mercenarie che non sono affidabili. L’artista trasfuse  questo concetto in un’opera alta quattro metri, di marmo bianco, personificazione della bellezza e perfezione del corpo: il David. A differenza delle precedenti versioni di Donatello e Verrocchio che mostravano questo giovane acerbo trionfante sulla forza bruta del gigante Golia, lo scultore ce lo presenta come un ragazzo già nel pieno della sua bellezza e gagliardia fisica, concentrato e motivato: sta per sferrare il colpo letale. Non più eroe biblico dunque, quanto piuttosto modello di come il cittadino deve interpretare l’idea della difesa della repubblica.

 

Figura 1 David di Michelangelo

Naturalmente stiamo parlando dell’immenso genio di Michelangelo e “proviamo” a farlo tentando di delineare i contorni di un rapporto difficile quanto prolifico che l’artista ebbe con uno dei suoi committenti in particolare, proprio quel Giulio II, precedentemente nominato. Scegliamo questo aspetto perché Michelangelo fu molto prolifico nonché longevo (per fortuna! Per chi ama l’arte) per cui ci piacerebbe dedicargli vari articoli.

Leggi tutto: La Tragedia della Sepoltura

Pubblicato Lunedì, 20 Maggio 2013 11:48

IL GLADIATORE

“Massimo! Massimo! Massimo! Massimo!”

Echeggia nell’arena del Colosseo. Il pubblico è in delirio. L’imperatore Commodo geloso. L’augusta Lucilla, fremente di desiderio. Il nipote dell’imperatore, l’ancora bambino, il cesare Lucio, sopraffatto dall’ammirazione.

Chi acclama tutta Roma alla presenza dell’imperatore?

Massimo Decimo Meridio: IL GLADIATORE.

 Lui stesso si stupisce di tanto interesse quando viene avvicinato dal piccolo Lucio venuto ad ammirarlo da vicino: “alla tua età (aveva otto anni), ti lasciano assistere ai giochi?” gli dice. In questa scena Massimo si trova nel Ludus Magnus, la caserma collegata al Colosseo con una galleria sotterranea. E’ la prima volta che deve “esibirsi” a Roma, ma la sua fama lo ha di molto preceduto.

L’idea è quella di ripercorre questo film non privo di falsi storici ma molto preciso nel ricostruire la vita di un gladiatore per capire un po’ quale era il motivo di tanto interesse per questi spettacoli tanto lontani dalla nostra morale.

Sarebbe interessante anche comprendere Giovenale quando,  riferendosi al popolo romano, pronunciò la famosa frase rimasta eterna duas tantum res anxius optat, panem et circenses (sol di due cose pago: pane e circensi), 40 anni dopo Frontone rimproverò la stessa cosa ai suoi concittadini populum romanum duabus praecipua rebus, annona et spectaculis, teneri (cambiano, neanche tanto, le parole, il concetto è identico). Plinio il Vecchio si stupì del fatto che la gente fosse disposta a mettere in pericolo la propria stessa vita pur di assistere a quegli spettacoli: rimanevano seduti su degli spalti girevoli che di giorno creavano due semicerchi che si davano le spalle durante le rispettive rappresentazioni teatrali, di pomeriggio giravano su un perno (erano in legno) e divenivano un’arena in cui si affrontavano i gladiatori.

Stupirebbe sapere quanto tempo i romani trascorrevano in ozio: non senza far nulla, come intenderemmo noi ma l’ozio inteso come dedicarsi ad attività che non richiedono lo sforzo fisico. I disoccupati, mantenuti dall’assistenza pubblica con le largitiones al portico di Minucio erano 150.000, 150.000 (forse) erano coloro che avevano un’occupazione: la mattina quei pochi lavoravano, poi facevano la siesta, poi tutti agli spettacoli.

Insomma: il popolo che ha fatto tremare tutto il mondo allora conosciuto, quello per cui si sono smossi gli elefanti da Cartagine, quello per cui sono stati versati fiumi di inchiostro, è lo stesso che ha inventato la siesta (l’ora sesta è esattamente mezzogiorno, l’ora in cui i romani facevano il “riposino” pomeridiano). E se qualcuno fosse interessato a contare i giorni di festa del calendario romano, si stupirebbe nello scoprire che erano ben 182, calcolo effettuato per difetto (mancano tutte le feste straordinarie e quelle dei sobborghi).

 

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Pubblicato Lunedì, 24 Dicembre 2012 08:28