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UN IMPERATORE DISCUSSO: NERONE

Pubblicato Sabato, 29 Settembre 2012 12:52 Visite: 7412

Categoria: Storia e dintorni: la storia vista con gli occhi di chi l'ha fatta, vissuta, raffigurata.

Non c’è dubbio che la figura di Nerone sia una delle più controverse. E a discutere non sono solo gli storici moderni che ultimamente cercano di sfatare false credenze e riabilitare la memoria del sesto dei Dodici Cesari. Già gli storiografi antichi avevano difficoltà di giudizio e se da una parte abbiamo la versione di Tacito, che tentò di attenersi ai fatti e a non demonizzarne la figura, dall’altra abbiamo Svetonio, che pur avendo un accesso a documenti di prima mano, essendo costui il segretario di Adriano, quando iniziò la stesura della Vita dei Dodici Cesari, aveva la penna, per così dire, avvelenata, visto che nel 121 d.C. era stato licenziato dall’imperatore. Nei suoi scritti, pure tanto preziosi e miracolosamente sopravvissuti quasi per intero alle insidie del passare del tempo, tendeva a sottolineare aspetti scandalosi della vita degli imperatori e alcune volte tanto esagerati da far sorgere qualche legittimo dubbio.

Già l’inizio del principato di Nerone, nome originario Lucio Domizio Enobarbo (Enobarbo significa “barba di bronzo” e infatti Licinio Crasso disse di lui che aveva “barba di bronzo, faccia di ferro e cuore di piombo”)  trasformato in Nero Claudius Caesar Drusus Germanicus, fu accompagnato da oscuri presagi. Figlio di Gneo Domizio Enobarbo e Agrippina minore, fu fin da piccolo lasciato solo dalla madre, troppo impegnata a seguire le proprie brame di potere. Ucciso il marito, sposò il proprio zio carnale, l’ormai anziano, ma imperatore, Claudio. Quest’ultimo, si sa, era di indole piuttosto docile e fu facile farne fuori la terza moglie, Messalina (anch’essa non proprio nota per il buon cuore) e convincerlo non solo a sposarla ma anche a designare come successore Nerone a scapito di Britannico, erede naturale in quanto figlio legittimo dell’imperatore. A quel punto Agrippina venne colta dalla smania: ora era riuscita a diventare Augusta, ma non le bastava. Desiderava che il figlio avesse subito il potere nonostante la giovane età (Nerone nel 54 d.C.  non aveva ancora diciassette anni) perché, proprio in virtù della sua immaturità lei già pregustava il suo ruolo di coreggente. Innanzitutto gli impose per moglie Ottavia, figlia di Claudio e quindi sorellastra di Nerone: ma Agrippina non badava al piccolo particolare che fosse un rapporto incestuoso.

 L’ascesa di Nerone fu salutata dal senato con gioia: essi sapevano che il troppo giovane rampollo era in realtà manovrato dalla madre e da Burro e Seneca, i suoi precettori, e speravano che questi si allontanassero dalla politica di Claudio il quale aveva creato una burocrazia controllata da liberti togliendo ai senatori molti ruoli di prestigio. Le aspettative non furono deluse perché ci fu la promessa che non sarebbero stati dati incarichi di rilievo ai liberti, tornando così alle tradizioni tanto care ai senatori. Inoltre la parola d’ordine era clemenza (Seneca scrisse il De Clementia per eternare le doti di questo Cesare) e per questo furono alleviate le pene per reati perpetrati da senatori, liberti, e anche schiavi. Questo era il nuovo, giovane, e pieno di speranze (altrui) imperatore. Ma qualcosa nel meccanismo non funzionò perché presto Nerone mostrò tutt’altra indole.

 

Figura 1 Un busto ritrae Seneca nello stile tipicamente ellenistico, tanto caro a Nerone

Si sentiva frustrato da una madre che gli ricordava di continuo che non amava essere contraddetta perché il potere lo doveva a lei e che lei poteva altrettanto facilmente privarlo di quel potere perché Britannico era in vita e lui era il legittimo imperatore. Nerone, esasperato, si decise a chiamre Locusta, una nota avvelenatrice che aveva ormai il “posto fisso” presso i cortigiani, tanti erano i servizi che veniva chiamata a svolgere in quel periodo. La sua carriera era iniziata da giovane quando ebbe la grande occasione di esibirsi a corte grazie, guarda caso, ad Agrippina (anche se già era servita a Messalina per far fuori uno dei suoi tanti amanti) che le chiese del veleno per uccidere addirittura Claudio. La povera Locusta, presa da ansia da prestazione, sbagliò il dosaggio dell’arsenico e Claudio ebbe una terribile colica che gli fece espellere tutto, anche il veleno. Prontamente Agrippina intervenne col suo fidato medico che introdusse una penna avvelenata nella gola di Claudio con la scusa di curarlo. Una breve parentesi per questa sciagurata donna col nome che ricorda un insetto piuttosto ripugnante: tale fu la sua importanza che le venne dato incarico di insegnare a palazzo l’arte di fabbricare veleni e un freno fu posto solo quando per Roma cominciarono a circolare troppe vedove ricche. Le malefatte di Agrippina furono talmente tante, i delitti talmente efferati, che un criminologo moderno tenderebbe forse ad alleggerire il giudizio su Nerone per aver provato soddisfazione nel somministrare egli stesso il veleno a Britannico (55 d.C.) e vituperare il suo cadavere. Poiché l’infanzia, e poi la vita, di Nerone somiglia ad un lungo necrologio causato dalla mano dell’avida madre, forse non è un caso se anch’essa non si stupì troppo se il figlio rivolse la sua crudeltà anche verso di lei.

Erano trascorsi cinque anni dall’ascesa al potere di Nerone e l’inizio del suo regno, come già ricordato, fu foriero di buone speranze ed iniziative anche innovative. Svetonio ricorda che Nerone conosceva il nome completo di persone di ogni ordine sociale, che rifiutò il titolo di Padre della Patria, che al senato che lo volle ringraziare rispose “quando lo avrò meritato”.

Lo storico descrisse l’afflizione di Nerone ogni volta che doveva firmare per una condanna capitale e sosteneva che l’imperatore commentava contrito dal dolore “ vorrei non saper scrivere”. Ma lo storico elenca anche le numerose iniziative in diversi campi della giustizia e in materia di lasciti testamentari: ciascuna di queste tendeva ad una riforma in direzione di una giurisdizione più equanime.

Ma nell’animo di Nerone qualcosa si agitava: era il peso della presenza della madre. Una madre la cui ombra lo oscurava fino ad opprimerlo. Per questo Nerone cominciò a macchinare per fare in modo di liberarsi di quella donna con la quale i rapporti erano irrimediabilmente logori. La situazione precipitò quando il giovane imperatore si innamorò di Poppea. La moglie  del futuro imperatore Otone, gli aveva fatto perdere la testa tanto da far allontanare il marito con la scusa di un incarico in Lusitania. Ma Nerone non osò sposarla perché la madre non avrebbe accettato il divorzio da Ottavia. Bisogna dire che tacitamente Burro e Seneca alimentavano il malcontento di Nerone perché la liberazione dalla presenza di Agrippina gli avrebbe consentito di manovrare da soli la mente del giovane. Questo è quello che credevano. Nerone prese la grave decisione e per compiere il gesto estremo si servì del fidato e senza scrupoli Aniceto: la raggiunse a Baia per fingere agli occhi di tutti un riavvicinamento con la genitrice.  Quando lei si mise in mare per tornare a Roma, Aniceto e i suoi uomini provocarono un naufragio per simulare la morte dell’Augusta. Il progetto non andò in porto e Agrippina finse di non aver scoperto il complotto ordito dl suo scellerato rampollo che intanto dovette confessare il piano fallito a Burro e Seneca. Questi ultimi manifestarono il proprio disappunto ma compresero che ormai bisognava andare fino in fondo. Il secondo tentativo riuscì e si narra che mentre Aniceto e i suoi sgherri uccidevano a bastonate Agrippina nella sua stessa casa, lei intimò loro “colpite qui, al ventre che lo ha generato”.  Era il 59 d.C.

A quel punto Nerone era libero. Libero innanzitutto di divorziare: Ottavia fu mandata in esilio e, al primo accenno di affetto verso di lei da parte del popolo, vennero mandati dei sicari ad ucciderla. Il terzo peso di cui si liberò l’imperatore fu quello delle voci troppo sagge ed equilibrate dei suoi precettori. Burro morì avvelenato e Seneca fu messo in condizioni di rassegnare le proprie dimissioni, visto che l’imperatore aveva dato il potere a due comandanti dei pretoriani fra cui uno particolarmente inviso a Seneca, Tigellino. A questo punto la storia si fa tristemente nota e in particolare Svetonio da un quadro limpido del repentino cambiamento. Fino a quel momento descrive un personaggio che governa con modestia e clemenza come imperatore e come uomo.

 Improvvisamente lo storico narra di  negozi aperti a palazzo con in vendita merce rubata durante scorribande notturne ai danni di commercianti, organizzate e capeggiate dall’imperatore in persona. Racconta di orge, di bordelli, di incesti, di uno schiavo evirato (Sporo, trasformato in Sabina) e sposato con tutte le cerimonie ufficiali del caso, sebbene per finta. Svetonio racconta ogni tipo di scelleratezza che mente umana possa partorire ma quello cge ci si chiede è che cosa pensassero popolo e senato. Perché Nerone fu molto amato, anche dopo la sua morte. Sicuramente c’era de malcontento per il matricidio, l’uxoricidio e per il fatto che le prime iniziative dell’imperatore appena si setì libero, tesero a trasformare Roma nella capitale dell’Oriente Ellenistico tanto amato dall’imperatore. Durante un viaggio in Grecia (66 d.C.) in cui partecipò a molti agoni artistici (portò a Roma ben 1808 corone di vittoria), decise di liberare  questa provincia. La decisione non fu ben accolta visto che significava affrancare la Grecia dall’obbligo di versare tasse all’erario di Roma (infatti il provvedimento fu prontamente revocato da Vespasiano).

Si accingeva, Nerone, al taglio dell’istmo per costruire il canale di Corinto, quando fu richiamato a Roma dal liberto Elio, lasciato nell’Urbe per governare in sua assenza (e anche questa scelta non deve essere stata felice per molti senatori che pensavano di averne maggiore diritto), perché le manifestazioni di insofferenza si facevano più evidenti.

Nerone riuscì a vedere il taglio dell’istmo solo per 1,7 km e dovette abbandonare il progetto lungimirante che avrebbe permesso il passaggio da Mar Egeo a Mar Ionio evitando il periplo del Peloponneso e risparmiando cos’ 400 km di tragitto.

 

Figura 2 Il canale di Corinto, come si presenta oggi. Dopo l'abbandono del progetto da parte di Nerone, fu ripreso solo nel 1881 e terminato nel 1893. Lungo 6345 metri, largo 25,6 metri, profondo appena 52 è adatto a medio-piccole imbarcazioni di circa 10.000 tonnellate.

Nerone si dedicò anche ad un altro progetto che non riuscì a terminare: un canale che avrebbe congiunto il lago di Averno (nei pressi di Baia) e Ostia, un disegno grandioso perché doveva consentire il transito di due quinqueremi (ciascuna per il proprio verso). Quest’opera avrebbe consentito alle derrate alimentari provenienti da Egitto e Grecia di giungere a Roma senza il pericolo di incursioni predatorie sulle coste italiche, perché avrebbero evitato il mare. Il viaggio via terra era possibile ma difficoltoso perché un carro trainato da buoi non riusciva a percorrere più di 3 km/h. Svetonio, sempre impietoso verso gli imperatori, narrava che Nerone aveva intrapreso quest’opera costosissima per l’erario (la cassa dello stato) perché sperava di trovare il tesoro che Didone, in fuga da Tiro, aveva nascosto in caverne lungo il tragitto. Per portare a termine il progetto  Nerone spese una fortuna e commutò tutte le pene, anche quelle capitali, in condanne ai lavori forzati. Nonostante tanti sforzi e tante spese, anche questa idea non andò in porto e il malcontento aumentava.

In tutta questa agitazione la politica del sospetto era legittima perché l’imperatore col suo comportamento noncurante delle tradizioni, aveva scontentato tutte le classi sociali. Il regime di terrore fu coordinato dal fedele e crudele Sofonio Tigellino: nel 65 d.C. fu scoperta la congiura di Pisone a causa di uno schiavo ingrato che confessò i progetti del suo padrone e di altri comprimari i quali uno dopo l’altro caddero in trappola, accusandosi reciprocamente.Si suicidarono, fra gli altri, Lucano e Seneca.

Nel 68 d.C., a soli 30 anni, Nerone morì e Atte, la schiava di cui lui era stato sempre innamorato e che gli era sempre rimasta fedele, lo assistette fino all’ultimo, quando l’imperatore si pugnalò alla gola dopo aver subito l’onta di essere deposto dal senato.

Non tutti credettero che Nerone fosse morto: ci furono almeno  due personaggi (nel 69 e nel 79 d.C.) che in Grecia finsero di essere lui: lì l’imperatore era molto rimpianto, anche perché Vespasiano revocò immediatamente la libertà alla provincia in quanto il carattere parco di questo Cesare, non prevedeva affrancamenti da tasse.

Come si è già detto per i contemporanei la figura di Nerone era controversa e il giudizio su di lui non semplice. Un duro colpo alla sua immagine lo diedero il matricidio e i due uxoricidi: oltre a Ottavia uccise anche l’amata Poppea con un calcio sferrato al ventre in un momento di rabbia mentre questa era incinta. Nonostante questo, fra i suoi sostenitori c’erano i nostalgici della dinastia Giulio-Claudia, che  con lui si estingueva, e una parte di popolo che avrebbe sentito la mancanza dei suoi gesti da imperatore ex lege clamorosamente magnanimi.

Durante l’incendio che nel 64 d.C. devastò l’Urbe per ben nove giorni, Nerone aprì i giardini della sua casa e accolse gli sfollati, fece ricostruire case a sue spese ingegnandosi per renderle meno vulnerabili al fuoco con tre ordini di portici a protezione e, già che c’era, per fornirle di buoni servizi igienici.

Fino al romanticismo questo imperatore fu dimenticato, poi la leggenda di lui che cantava alla vista di Roma che bruciava e della sua persecuzione nei confronti dei cristiani, prese il sopravvento. In realtà Nerone era ad Anzio quando divamparono le fiamme e arrivò dopo tre giorni dandosi molto da fare per aiutare i senzatetto, come già ricordato. Inoltre accusò i cristiani per liberarsi lui dell’accusa di incendiario, ma, per quanto la reazione fu cruenta, Nerone non ordinò mai persecuzioni sistematiche perché il suo non era un intento di annientamento religioso. La stessa accusa che gli mossero, di aver incendiato Roma per trasformare la Domus transitoria nella splendida Domus Aurea che conosciamo, appare essere forzata alla luce del fatto che in quanto imperatore aveva il potere di espropriare case e terreni senza dare spiegazioni.

La radicfe cristiana della nostra cultura è forte al punto che lo studio di questo personaggio, anche quando volesse essere il più scevro da giudizi, non può non prescinderne, anche perché i fatti ci furono: le strade di Roma in quel periodo erano illuminate da torce umane, tutti di fede cristiana.

Chiunque cominci ad approfondire la storia di Nerone ha già, suo malgrado, un giudizio sedimentato dai tempi della scuola elementare. Essendo l’Italia una meraviglisa scatola piena di opere pittoriche, musicali, scultoree, letterarie, anche un osservatore meno interessato viene a contatto con preziosi tesori della nostra cultura ogni giorno. Per questo è facile vedere in un quadro Nerone l’incendiario, in opere musicali (di Mascagni e Boito, per esempio) Nerone l’Anticristo. Ma il segno più indelebile nella memoria di tutti è il Quo Vadis di H.Sienkiewicz che nella versione cinematografica mostra un Nerone tiranno contrapposto ai miti e indifesi cristiani. Questo ha contribuito al fatto che tutti conoscono Nerone ma pochi lo conoscano davvero e che il giudizio unanime ricordando ilo volto invasato e magistralmente interpretato da Peter Ustinov faccia dire a tutti: Nerone era pazzo.

 

 La riforma monetaria

Di Nerone sono sempre stati messi in luce gli aspetti scandalistici della sua vita ma in realtà si occupò di molti aspetti importanti della politica di Roma come l’urbanistica, la politica estera, e, più di ogni altra cosa, l’economia. I suoi provvedimenti in questo campo furono talmente lungimiranti da avere effetti per oltre un secolo e mezzo dopo la sua morte. Sotto Nerone ci fu la più grande inflazione conosciuta dall’impero romano e a cui lui dovette porre un freno. Si stava infatti verificando un fenomeno che non aveva precedenti: il prezzo di oro e argento cominciarono a salire talmente, da indurre i privati cittadini facoltosi ad eliminare la moneta circolante per fonderla e farne oggetti di lusso che poi venivano venduti ed erano, dunque, più remunerativi. Per questo nel 64 d.C. Nerone  cominciò lo studio della più importante riforma monetaria dell’impero, diminuendo gradualmente il con tenuto di oro e argento nelle monete (il fino contenuto in aurei e denari raggiunse il 90 – 95% con un 10-15% di rame). Augusto, in precedenza aveva introdotto l’oricalco per la coniazione di sesterzi e dupondi. Questa lega era simile all’ottone, formata da rame e zinco e Nerone cercò di eliminare completamente il bronzo e coniare con oricalco ben cinque diversi nominali: sesterzio, dupondio, asse, semisse, quadrante. In realtà il semisse fu introdotto da Nerone  nel 62 d.C. e aveva un peso di 5,45 gr. Questa radicale sostituzione di oricalco in luogo del bronzo non ebbe grande successo ed ebbe vita breve, dal 62 al 66 d.C.

I problematici rapporti intercorrenti fra Nerone e la correggente madre Agrippina minore, si riflettono anche nelle monete che riportano all’inizio madre e figlio ritratti con busti su aurei e denari  al dritto (54-55 d.C.)perché la genitrice voleva pubblico riconoscimento della coreggenza; dal 55 Agrippina venne relegata nel rovescio. Decisa inversione di tendenza si ebbe nel 55 d.C. e fino al 61 quando a controllare Nerone furono i soli Burro e Seneca: al dritto di aurei e denari troviamo Nerone, al rovescio i titoli attribuiti all’imperatore con la scritta ex sc, per senato consulto (decisione del senato). Si ricordi che il senato nutriva speranze che con la guida saggia di Burro e Seneca si tornasse ai sani principi della Repubblica: e in una Repubblica, il senato ha il potere.

 

Figura 3 Un aureo che al dritto riporta i busti di madre e figlio e solo nel rovescio nomina la Augusta Agrippina.

 

Le altre due mogli di Nerone, Poppea e Messalina II (sposata nel 66 d.C.) non compaiono in coniazioni di zecche orientali che, come è noto, non erano fedeli nell’iconografia perché nella maggioranza dei casi non vedevano realmente le persone di cui riproducevano il volto.

Ma Nerone tentò anche di riformare il sistema tributario e come prima iniziativa abolì i dazi per facilitare l’economia anche fra le province: questa tassa sarebbe stata poi recuperata con le imposte dirette. Questi atti erano naturalmente studiati con Burro e Seneca i quali, però, lavoravano dietro le quinte e nel momento in cui la decisione non fosse ben accettata dal senato, si dileguavano lasciando le critiche solo all’imperatore. Come in questo caso in cui la resistenza fu tale da indurre Nerone a ritirare il provvedimento lasciando in vigore solo qualche cambiamento come l’esenzione da ogni tassa delle navi da trasporto per favorire rifornimenti alimentari a Roma.

In materia di lasciti testamentari si stabilì che chi li scriveva per conto di altri non poteva segnarvi un lascito per sé. Contro i falsari per la prima volta furono introdotte norme che prevedevano di sigillare le tavolette solo dopo averle perforate e passato un cordoncino tre volte attraverso i buchi. Nei processi si fissò il prezzo di una parcella equa per gli avvocati, stabilita in anticipo ma nulla si doveva per il procedimento giudiziario in sé, completamente a carico dell’erario.

Svetonio stesso raggruppò tutti questi atti perché degni di lode e da non confondere con quelli vergognosi.

Non c’è dubbio che la vita quotidiana all’epoca di Nerone fu segnata da eccessi e per averne un’idea bisogna leggere il satirico di Tito Petronio Nigro, nella tradizione manoscritta ricordato come Petronio Arbitro in quanto arbiter elegantiae “arbitro dell’eleganza” a corte. Ma leggere la storia di Nerone dalla voce dei suoi contemporanei significa assistere a grandi contraddizioni che caratterizzarono il suo governo che fa di questo personaggio un indubbio, grande personaggio.