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L’ASCESA DI UN PRINCIPE, LA VITTORIA DI UN IMPERATORE: LA BATTAGLIA DI AZIO

Pubblicato Mercoledì, 01 Agosto 2012 06:35 Visite: 4619

Categoria: Storia e dintorni: la storia vista con gli occhi di chi l'ha fatta, vissuta, raffigurata.

La battaglia di Azio (2 settembre del 31 a.C.) per Roma rappresentò la fine della Repubblica e l’inizio dell’Impero. Il senato aveva già visto l’emergere di personalità accentratrici con l’ascesa di Giulio Cesare. Per il momento era riuscito a scongiurare il pericolo che il controllo di Roma passasse nelle mani di un solo uomo. Ma dopo le Idi di marzo del 44 a.C. il destino del futuro Impero era ormai scritto. Con la formazione del secondo triumvirato (del primo faceva parte lo stesso Cesare insieme a Pompeo e Crasso) Antonio, Ottaviano e Lepido unirono le forze per vendicare la morte di Cesare. Solo inizialmente. Ciascuno di loro in seguito alle due vittorie riportate a Filippi (42 a.C.) sui cesaricidi coltivò, più o meno apertamente, ambizioni personali scontrandosi, inevitabilmente, con le resistenze che il senato opponeva a questo nuovo orientamento politico.

 

 Non a caso sarà proprio Ottaviano ad avere la meglio, cioè un raffinato politico, non un uomo di guerra (sebbene dalla sua avesse il più grande stratega dell’epoca, Marco Vipsanio Agrippa). Cesare aveva adottato Ottaviano, che ne era dunque l’erede legittimo. Ma, a ben guardare la storia, ancor di più ne era il naturale erede dal punto di vista morale. Ormai i tempi erano maturi perché Roma passasse nelle mani di un solo uomo: il senato era troppo corrotto perché potesse fare gli interessi di un tanto potente “impero” che ormai, di fatto, esisteva. Ma mentre Cesare agì di impulso e di polso nell’affermare questo cambiamento (spostò la Curia per far posto al suo Foro!), il futuro Augusto piegò tutti al suo voler facendo credere che nessuno avrebbe perduto i propri privilegi affascinando e non declassando lo storico SPQR.

Tutto cominciò proprio con la battaglia di Azio, provocata dal fatto che Antonio aveva diviso dei domini romani in Macedonia fra Cleopatra VII (di cui si era innamorato, umiliando la moglie Ottavia, sorella di Ottaviano) e i suoi figli. Antonio si preparava, probabilmente, a conquistare la penisola italiana perché il suo esercito presidiava Cirene, nel Nord Africa, Metone, nella punta sud del Peloponneso, Patrasso e Azio., Appare evidente che Antonio aspettava il nemico senza avere l’intenzione di passare all’attacco. L’ex triumviro, ormai proclamato dal senato “nemico della patria”, era stato messo in guardia dai suoi strateghi sul pericolo dell’affrontare uno scontro in mare. Ma Cleopatra esercitò il suo fascino per distoglierlo: la regina aveva fornito molte navi e voleva essere ricordata nel trionfo. Una ad una le postazioni di Antonio furono conquistate e il quartier generale dei due amanti fu spostato ad Azio.

Ottaviano non doveva far altro che attendere: Antonio e Cleopatra erano costretti a combattere.

Le navi romane erano agili e manovrabili, quelle di Antonio, al contrario, erano grandi e lente (le quinqueremi).

 

 

 

 

 

 

 

Figura 1 Quinqueremi fornite da Cleopatra

A questo si aggiunse un’epidemia di malaria e il mancato arrivo di derrate alimentari. Una disdetta: molti, fra le file di Antonio, furono gli ammutinamenti e lui dovette bruciare 50 navi (le meno adatte al combattimento) per evitare che si unissero al nemico. Fece inoltre spiegare le vele rendendo le navi vulnerabili agli incendi: questo particolare fa pensare agli storici che preparasse la fuga, ritardata da una tempesta. Gli eventi, insomma, erano tutti sfavorevoli ad  Antonio, il quale ci mise del suo ad aiutare il destino, vista la sua debolezza verso la regina (neanche più tanto avvenente, vista la non più giovane età).

 

Figura 2 La disposizione della flotta. I romani guidati da Ottaviano sono disposti verso il mare aperto.

Il 2 settembre 31 a.C. il mare era liscio. Antonio fece uscire la sua flotta dal Golfo di Ambracia. Lo schieramento delle forze era quello classico delle battaglie navali che prevedevano due semicerchi concentrici.

C’erano tre gruppi: a Nord Agrippa contro Publicola, al centro Arrunzio contro Ottaviano, a Sud Lurio contro Sosio. Le due flotte rimasero vicine e immobili fino a mezzogiorno quando all’improvviso Sosio fece muovere le sue navi verso sud e si scontrò con Lurio dando inizio alla battaglia. Il gesto di Sosio non è chiaro: lo aveva programmato o voleva abbandonare Antonio? In ogni caso a quel raffinato stratega che era l’amiraglio di Ottaviano, il già citato Agrippa, andò tutto secondo i piani perché il nemico, arretrando in mare aperto, lasciò spazio alle sue agili navi, ancora più facilitate nelle manovre. A questo punto Lurio iniziò ad arretrare e lo stesso fece Agrippa. Al centro rimase fermo Arrunzio davanti ad Ottaviano. Agrippa inventò allora uno stratagemma: fece muovere bruscamente le navi verso il largo e Publicola cadde nel trabocchetto, seguendolo. In questo modo allontanò le navi l’una dall’altra e lasciò il centro libero. Ottaviano per poter tenere unita la formazione fu costretto a spostarsi al centro e venne chiuso da Arrunzio. Questo spostamento lasciò un varco utile per le navi di Cleopatra ma la regina, inspiegabilmente, prese il largo sulla sua “Antonias”, l’ammiraglia che portava il nome dell’amato. Quest’ultimo, quando se ne accorse, si lanciò all’inseguimento di Cleopatra abbandonando i suoi uomini. Patercolo lo definì “il più vile dei soldati”. Questi ultimi continuarono a combattere valorosamente. Patercolo definì ognuno di loro “il migliore dei comandanti”. Ma ormai la battaglia era perduta. Gli uomini erano in netta inferiorità numerica per la fuga delle navi egizie. A questo bisogna aggiungere il fatto che le navi rimaste erano pesanti e poco agili e, da non sottovalutare, la  compagine non aveva più una guida.

 In compenso Agrippa aveva allestito le navi romane di un nuovo mezzo: il rampone, che andava a sostituire il rostro inventato da Caio Duilio.

 

Figura 3 La nave da guerra dei romani era leggera e dotata, da questa battaglia in poi, di “rampone”. La figura è stata ricostruita sulla base delle raffigurazioni che se ne facevano per descriverla: gemme, pitture, monete e rilievi sui templi.

 Probabilmente questa invenzione è stata sopravvalutata, ma certamente avvantaggiò molto i romani. Il vecchio rostro si basava sullo speronamento. Con il rampone invece si arpionava la nave nemica e si poteva passare all’arrembaggio (il primo della storia), consentendo un combattimento terrestre in cui i romani erano maestri.

 Verso sera Ottaviano aveva affondato 40 navi, ucciso 5000 soldati e costretto le restanti 100 a fuggire nel Golfo di Ambracia. Non restava che attendere la resa. Avvenne il giorno dopo.

 Il resto è storia nota. Antonio disfatto ad Azio e abbandonato da Cleopatra si suicidò un anno dopo, quando il suo esercito fuggì alla vista dei soldati di Ottaviano che aveva deciso di invadere l’Egitto (30 a.C.).

Cleopatra tentò di esercitare le proprie doti di ammaliatrice anche su Ottaviano ma non raggiunse il risultato sperato e ottenuto precedentemente con Cesare e Antonio. Anche lei si suicidò, si narra, facendosi mordere al seno da un aspide: una regina favoleggiata come lei da anni non poteva certo sfilare come un qualunque trofeo di guerra.

 

Figura 4 Il racconto della morte di Cleopatra VII è molto suggestivo e per questo ha ispirato i pittori di tutte le epoche. Qui è una suggestiva raffigurazione di Guido Reni.

Ottaviano non dovette far altro che tornare a Roma e raccogliere gli onori dopo tante fatiche: il senato lo insignì del titolo di Augusto e si diede così inizio al Principato.

Marco Vipsanio Agrippa lo seguì fino alla fine coadiuvandolo nella “ristrutturazione” di Roma: si dice di Augusto che trovò l’Urbe di mattoni, la lasciò di marmo.

 

Figura 5 Augusto con la corona civica.

 Inoltre riformò l’esercito, il cursus honorum (la carriera politica per i romani), risollevò l’economia dando nuovo slancio al commercio.

In 44 anni di principato pose delle basi talmente solide che l’impero di Roma dominò l’intero mondo allora conosciuto per altri 400 anni.

 

La riforma monetaria ed economica di Augusto.

Augusto ebbe il grande merito di dare corpo a una rivoluzionaria riforma sia monetaria che economica. La prima era una necessità: durante le guerre civili molte erano le zecche mobili agli ordini dei vari generali che battevano moneta da soli per poter corrompere i politici, e questo aveva ingenerato una forte confusione.

Per portare l’ordine necessario, organizzò nuovamente le valute e i loro scambi nominali. Il denario d’argento (argento puro) tornava ad essere il valore di base ponderale di 1/84 di libbra di riferimento pari a 3.89 gr. di argento. L’aureo, che era di oro puro al 98% arrivò a pesare 7.79 gr. (1/42 libbra)e lo scambio nominale era di 25 denari d’argento e 100 sesterzi di oricalco. Il sesterzio non era più una monetina in argento che facilmente veniva persa , ma una moneta in oricalco di grande modulo (circa 27 gr.) che Augusto potè utilizzare anche come valido veicolo di propaganda politica. Queste le principali novità accanto al non meno importante e già citato ordine riportato negli scambi nominali per non ingenerare confusioni e soprattutto per far scendere l’inflazione. Gli storici valutano che il tasso di interesse per i prestiti era sceso sotto Augusto al 4 % annuo contro il 48% raggiunto con Bruto.

La seconda grande riforma fu quella economica che prevedeva invece l’istituzione del fiscus, una cassa gestita direttamente dall’imperatore che lui utilizzava per redistribuire le ricchezze presso i popoli sottomessi perché questi non di sentissero oppressi dal potere di Roma, ma si sentissero privilegiati a essere sotto l’egida di un impero tanto avanzato.  Accanto al fiscus mantenne l’aerarium, non più gestito da due questori, ma da due pretori, e fondò l’aerarium militare per i compensi ai veterni. Si pensi che Cesare amava a tal punto i suoi militari, soprattutto la Legio X equestris, da trattarli  come figli, ne conosceva i nomi e le necessità, li investiva di grande fiducia con incarichi delicatissimi in fatto di strategia militare. La fiducia era totale e completa e Augusto, sempre coerente col suo modo di fare politica che prevedeva l’agire senza creare fratture con le situazioni precedenti, volle conquistarsi il rapporto di fiducia e ammirazione, pur essendo molto meno uomo di guerra rispetto a Cesare. 

Ma Augusto pensò a tutto: chilometri di strade, nuovi e attrezzati porti, escavazione di canali, nuove esplorazioni. Tutto era progettato per dare nuovo slancio al commercio e dinamica agli affari e questa prosperità era destinata a durare per molto tempo. Se togliamo la parentesi del forse troppo parsimonioso Tiberio, gli imperatori che vennero dopo Augusto lavorarono tutti alla crescita ulteriore dell’economia della città (Caligola, Claudio, per non parlare di Nerone).

La grande avventura di Augusto alla guida di Roma ebbe inizio con la battaglia di Azio e da lì si vuole partire per illustrare le monete che ne celebrarono il trionfo.

Innanzitutto va ricordato che da Augusto in poi, è possibile e, anzi, prassi coniare monete con l’effigie di persone in vita (l’uso in realtà era cominciato con Cesare, ma il dittatore non aveva considerato che il senato e il popolo non erano pronti a immortalare un uomo ancora vivente eternandone la memoria). Augusto al dritto, Agrippa con testa coronata (c’è chi dice rostrata, chi scrive ritiene ricordi il rampone)  al rovescio, vengono immortalati in un denario

 

Figura 1 Denario d’argento D: Augusto cos XI (console per l'undicesima volta); R: m Agrippa cos ter cos sus Lentulus (marco Agrippa console per la terza volta, Cossus Lentulus firma la moneta)Zecca di Roma.

 

Che ricorda i due vincitori di Azio. La legenda recita al dritto “augustus cos XI” al rovescio “M AGRIPPA COS TER COSSUS LENTULUS” Questi due riferimenti ci fanno capire che il denario è dell’anno 13 a.c. e ricorda anche il magistrato monetario, un’altra innovazione dovuta alla riforma di Augusto, che in quell’anno era Cossus Lentulus, appunto.

Ma la vittoria di Azio fu immortalata anche da importanti monumenti come l’arco aziaco eretto nel foro.

 

Figura 2 Denario d'argento. D: augusto; R: arco trionfale sormontato da quadriga. Zecca di Roma.

 

Un denario ricorda l’evento con l’arco sormontato da una quadriga vista da davanti, tipica dei cortei trionfali.

L’ultima moneta che si riporta è di nuovo un denario

 

Figura 3 Denario argento: Caesar cos VI (Cesare, ormai divenuto un appellativo; console per la sesta volta) R: Coccodrillo Aegypto capta (Egitto sottomesso) Zecca di Lydia o Mysia.

Con Augusto al dritto e, nel rovescio, l’esplicito riferimento alla sottomissione dell’Egitto rappresentato dal coccodrillo e dalla scritta AEGYPTO CAPTA. Questa tipologia di moneta è stata emessa nelle zecche sia di Lydia che di Mysia.

Per il resto non abbiamo molti esempi che si riferiscano direttamente alla battaglia di Azio perché si trattava pur sempre di una guerra civile e non vi era onore nel far la guerra al proprio popolo.

Per comprendere la capacità sopraffina di Augusto come politico bisogna guardare ai risultati, cosa che noi possiamo fare perché abbiamo il quadro completo di come andarono i fatti, e leggere le Res Gestae Divi Augusti per entrare nella mente di questo grande imperatore  (cap.I) “Rem publicam dominazione factionis oppressa in libertatem vindicavi” e con questo già giustifica il perché della sua presenza a Roma riferendosi al fatto che lui restituì al popolo romano la tradizionale autonomia decisionale in materia di politica interna ed estera. Più avanti Augusto ricorda “Bella terra et mari civilia externaque toto in orbe terrarum saepe gessi victorque omnibus v[eniam petentib]us civibus peperci. Externas gentes, quibus tuto ignosci potuit, conservare quam excidere malui. Combattei spesso guerre civili ed esterne in tutto il mondo per terra e per mare; e da vincitore lasciai in vita tutti quei cittadini che implorarono grazia. Preferii conservare i popoli esterni, ai quali si poté perdonare senza pericolo, piuttosto che sterminarli.”

Con la giusta distanza storica si può capire quanto Roma deve al suo primo grande imperatore.